Road to Brasil: Messico 70

In Messico il Brasile conquista il suo terzo Mondiale superando in finale l’Italia ed aggiudicandosi definitivamente la Rimet

Dopo il Mondiale inglese del 66, il massimo torneo calcistico fece nuovamente tappa nel continente americano per l’edizione del 1970 gioca in Messico, che rappresentava la nona totale, e la quarta giocata oltre oceano. Ma quella del 70 fu anche un’edizione storica, infatti fu l’ultima edizione del campionato del mondo a chiamarsi con il nome di “Coppa del mondo Jules Rimet”, vinta dal Brasile, che  in tale modo se la aggiudicò definitivamente avendola vinta per 3 volte, battendo in finale l’Italia. Dall’edizione successiva (1974) il campionato del mondo prese il nome di “Coppa del mondo FIFA”.

Il nono campionato del mondo di calcio, in programma in Messico dal 31 maggio al 21 giugno del 1970, presentava alcune singolarità: innanzitutto per la prima volta vi erano presenti tutte le squadre che avessero vinto almeno una volta il campionato del mondo (ciò era già accaduto nel campionato mondiale del 1950 giocato in Brasile e in quello del 1954 giocato in Svizzera, dove erano presenti Uruguay e Italia, fino ad allora uniche vincitrici; ma qui il numero delle nazionali che si erano già fregiate del titolo di Campione salì a cinque).

Anzi, tre su cinque delle Nazionali fino ad allora campioni (Brasile, Italia e Uruguay) avevano già vinto la coppa Rimet per due volte. Ad esse si aggiungeva l’Inghilterra, campione uscente, che aveva vinto quattro anni prima la Coppa in casa propria, di fronte alla Regina Elisabetta, battendo la Germania Ovest (già campione in Svizzera nel 1954) con un goal dubbio.

Comunque sia, in semifinale arrivarono proprio tutte e tre le squadre bicampioni del mondo, per cui vi era un’alta probabilità che la Coppa Rimet potesse trovare un padrone definitivo proprio a México ’70, essendo tale coppa appannaggio della Nazionale che la vincesse per tre volte anche non consecutive.

Una seconda novità fu l’introduzione dei cartellini colorati per segnalare le ammonizioni ed espulsioni, volute dall’arbitro della “Battaglia di Santiago”, Aston. Una terza fu l’introduzione delle sostituzioni dei “giocatori di movimento” (per un massimo di due), che fino al 1966 non erano ammesse, essendo possibile la sola sostituzione del portiere in caso d’infortunio.

Come avrebbe ricordato Gigi Riva molti anni dopo, quell’edizione del campionato del mondo non si distinse per particolari novità tattiche, essendo come il confronto tra quattro scuole la cui tradizione si era cristallizzata nel tempo: quella sudamericana di tipo più difensivistico, incarnata dall’Uruguay, quella brasiliana, ritmo, fantasia e tecnica, che vedeva in Pelé il migliore interprete; quella europea, nella versione più atletica impersonata dagli inglesi, campioni uscenti, e dai tedeschi, che ancora non avevano digerito la sconfitta del 1966 a Wembley, e quella più tattica del gioco all’italiana, che si basava su una difesa attenta e veloci contropiede.

Outsider di lusso l’URSS, che già si era ben comportata all’ultimo mondiale e ben figurava nelle manifestazioni continentali (aveva già vinto un titolo di Campione d’Europa ed era stata eliminata dall’Italia in semifinale all’Europeo 1968 solo per sorteggio), ma vi erano pochi dubbi sul fatto che a disputarsi il titolo sarebbero state, alla fine, le “solite note”.

In particolare l’Italia guardava a tale edizione del campionato del mondo con rinnovate speranze, dal momento che mai nel dopoguerra aveva passato il primo turno di qualificazione.Anzi, quattro anni prima era stata eliminata dalla Corea del Nord a Middlesbrough. Nel 1958 gli azzurri furono esclusi dal campionato in Svezia perché battuti nella fase di qualificazione a Belfast dall’Irlanda del Nord, sconfitta decisiva che significò la mancata qualificazione.

A dar fiducia alle speranze azzurre vi era la recente conquista del campionato europeo del 1968, e una generazione di giovani calciatori che già stavano emergendo in campo continentale e mondiale anche con i loro club: su tutti Gianni Rivera, campione d’Europa e del mondo 1969 con il Milan e Pallone d’oro 1969, ma anche Sandro Mazzola, due volte campione d’Europa con l’Inter e altrettante volte vincitore della Coppa Intercontinentale, e soprattutto il citato Gigi Riva, cannoniere principe del campionato italiano che da solo con i suoi gol aveva trascinato il Cagliari all’incredibile impresa di vincere lo scudetto 1969/70. Completamente mancino (tant’è vero che il suo allenatore al Cagliari Manlio Scopigno sosteneva il piede destro essergli utile solo per salire sul tram), per la sua potenza di tiro Gianni Brera coniò per lui il soprannome di Rombo di Tuono.

Poche furono le sorprese nella prima fase, nella quale tutte le squadre rispettarono più o meno il pronostico. L’Italia, capitata con Uruguay, Svezia e Israele in un girone sorteggiato quando ancora non esistevano le cosiddette “teste di serie”, passò il turno con il minimo sforzo, avendo sconfitto la Svezia con un gol di Domenghini nella partita inaugurale degli azzurri e poi pareggiando per 0-0 sia con l’Uruguay che con Israele.

Alla fine il girone italiano si sarebbe dimostrato – nonostante la scarsa efficacia offensiva, sei gol segnati in tutto – quello più difficile, avendo espresso due semifinaliste su quattro. Bene il Brasile, otto gol nel suo gruppo, mentre Germania, Inghilterra e URSS avrebbero svolto il loro compito passando il turno.

Nella norma anche i quarti di finale: la Germania Ovest si prese la rivincita per 3-2 sugli inglesi ribaltando ai supplementari lo 0-2 col quale i campioni uscenti conducevano fino a circa venti minuti dalla fine; il Brasile, dopo aver faticato un po’ contro il Perù, si impose per 4-2; l’URSS mise in difficoltà l’Uruguay, che dovette aspettare fino alla fine del secondo tempo supplementare per segnare e passare alla semifinale; infine l’Italia pescò la squadra di casa, e andò a Toluca per conquistare la semifinale con un 4-1.

Furono le semifinali a costituire il vero clou della manifestazione; anzi, addirittura Italia-Germania Ovest allo stadio “Azteca” di Città del Messico è ancora oggi considerata la partita del secolo e rimane tuttora sicuramente uno dei più alti momenti di trance agonistica e fonte di emozioni per gli spettatori, ma sul piano tecnico e tattico è ancora considerata una delle più grandi scelleratezze mai perpetrate su un campo di calcio in occasione di una partita di alto livello al campionato del mondo.

Nell’altra semifinale, Brasile-Uruguay, il Brasile vinse e, grazie al fatto che l’Italia la appaiava per numero di mondiali vinti, la Coppa Rimet sarebbe stata definitivamente assegnata il 21 giugno 1970 alla vincente della finale.

Nella finale del 3º e 4º posto, la Germania Ovest vince sull’Uruguay grazie a un gol di Overath al 26′. Nella partita che assegnava il titolo, gli azzurri non partivano come favoriti, a causa della stanchezza accumulata nella semifinale aggravata dal grande caldo tropicale, con l’inizio della partita fissato a mezzogiorno.[2] L’avversario poi era considerato la più forte squadra di tutti i tempi: il Brasile di Pelé che, oltre all’asso del Santos, schierava campioni come Jairzinho, Carlos Alberto e Tostao. Il tifo messicano si schierò con i brasiliani, poiché l’Italia aveva eliminato i padroni di casa ai quarti con un sonoro 4-1.

Nel primo tempo, al gol iniziale di Pelé (con uno stacco di testa su Burgnich) l’Italia rispose trovando il pareggio al trentasettesimo con Boninsegna che, sfruttando una indecisione della difesa carioca, rimise in gioco le sorti dell’incontro con un gol segnato anticipando con decisione anche il suo stesso compagno di reparto Gigi Riva.

Il secondo tempo, però, premiò i brasiliani; l’altitudine, il caldo e la stanchezza accumulata bloccarono gli azzurri, incapaci di reagire alle iniziative dei sudamericani che passarono per altre tre volte con Gérson, Jairzinho e Carlos Alberto. L’ingresso in campo di Rivera a tempo quasi scaduto (i sei minuti di Rivera) servì solo a riaccendere le polemiche, e non a riequilibrare una gara ormai dominata dai brasiliani.

La Coppa Rimet andò al Brasile e la Nazionale azzurra volò in Italia: a Fiumicino i ragazzi furono accolti bene, mentre per Valcareggi e l’accompagnatore Walter Mandelli vi furono solo pomodori e insulti.

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Redazione

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